Onorevoli Colleghi! - Il diritto alla casa, espressione pratica dell'universale diritto a vivere in modo dignitoso e decoroso, è uno dei pilastri del nostro sistema di welfare, su cui si sono fondati anche alcuni tra i più ambiziosi e qualificati progetti di urbanizzazione del nostro Paese. L'interpretazione e l'attuazione concreta del diritto alla casa, com'è ovvio, sono state fortemente influenzate dalle diverse e successive modifiche, innovazioni e rivoluzioni, anche culturali, che hanno interessato il concetto stesso di welfare in Italia. E oggi, in particolare, occorre confrontarsi, anche rispetto a questo segmento solidaristico, con l'imprescindibile principio della sostenibilità economica dello Stato sociale.
      È a voi tutti nota la crisi finanziaria che, non da oggi, attanaglia gli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) e tutti, o la gran parte, degli enti pubblici deputati all'attuazione dei programmi di edilizia economica e popolare. A fronte del positivo dinamismo del settore immobiliare, traino economico fondamentale in molte zone del Paese, abbiamo progressivamente assistito a una riduzione delle costruzioni di alloggi destinati, appunto, all'attuazione del diritto alla casa. Ciò anche a causa dell'esponenziale aumento dei costi di gestione di un patrimonio immobiliare pubblico sempre più obsoleto e malamente curato.
      La situazione complessiva dell'edilizia sociale in Italia risulta, dunque, critica. Basti considerare che recenti stime calcolano l'esistenza di oltre 2.000.000 di famiglie con redditi inferiori alla soglia di povertà di fronte a un patrimonio immobiliare di 900.000 alloggi a canone sociale.
      Le criticità sono state altrettanto esponenzialmente aggravate dalla crescita del numero di immigrati. In gran parte si

 

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tratta di donne, uomini e nuclei familiari ai quali il mercato immobiliare nega ogni possibilità di accesso; così come difficilissimo si dimostra anche l'accesso alle graduatorie per l'assegnazione di alloggi costruiti dai comuni o dagli IACP.
      L'individuazione di misure e forme di intervento alternative, dunque, è non più rinviabile se si vuole garantire l'effettivo esercizio del diritto alla casa.
      Una di queste è la cosiddetta «edilizia in autocostruzione» ovvero la partecipazione diretta alla costruzione della casa nella quale si andrà ad abitare. I primi esperimenti di questa pratica solidaristica in Italia risalgono agli anni settanta e da allora essa è in lenta ma costante espansione, in particolare nei centri urbani minori dove si è conservata memoria della pratica contadina di costruirsi la propria casa e più saldi sono i legami sociali che favoriscono la nascita di piccole cooperative.
      Con il diffondersi della pratica si è anche manifestata l'attenzione di alcuni comuni, tradotta nell'approvazione di progetti di realizzazioni edilizie con la pratica dell'«autocostruzione», e di alcune regioni, nelle quali si stanno predisponendo leggi di agevolazione e sostegno. Le ragioni sono di ordine sociale - la possibilità di ampliare l'intervento nel campo del diritto alla casa - ma anche economico: un alloggio «autocostruito» può arrivare a costare anche il 50 per cento in meno rispetto agli ordinari prezzi di mercato. Si realizza, cioè, la sostenibilità economica dell'intervento sociale attraverso la pratica civica della collaborazione e della solidarietà tra pubblica amministrazione e cittadini.
      Pur nel rispetto dei princìpi della sussidiarietà e delle competenze amministrative, si ritiene opportuno un intervento del legislatore volto a sostenere la diffusione della pratica dell'«autocostruzione». È su queste considerazioni che si fonda la presente proposta di legge sull'istituzione del Fondo per l'erogazione di contributi in favore dei soggetti che intendono provvedere, attraverso la partecipazione a società cooperative, alla costruzione della loro prima casa, che è sottoposta alla Vostra attenzione.
 

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